Uno studio di Isico sfata alcuni miti legati a schiena e sport Scoliosi e mal di schiena:il nuoto non è terapeutico
Milano, marzo 2013
- Lo si è creduto per oltre 20 anni. Il nuoto come panacea per mal di schiena e scoliosi. Il nuoto come lo sport migliore da consigliare a chi aveva atteggiamenti scoliotici sospetti o curve accentuate. Oggi questo mito è stato sfatato. Il nuoto non cura la scoliosi, anzi in molti casi se praticato a livello agonistico può rivelarsi negativo. E rischia di indurre mal di schiena. Lo conferma uno studio sviluppato da Isico (Istituto Scientifico Italiano ColonnaVertebrale) che sarà presentato al congresso internazionale ISSLS, in programma dal 13 al 17 maggio a Chicago.
Lo studio “Swimming is not a scoliosis treatment: a controlled cross-sectional survey” ha messo a confronto un gruppo di 112 nuotatori a livello agonistico (nuoto praticato 4-5 volte a settimana) con una popolazione scolastica, maschile e femminile, di 217 studenti di pari età, che pratica sport in maniera amatoriale o non lo pratica affatto. In entrambi i casi sono stati misurati i gibbi, la cifosi e la lordosi ed è stato fornito ai ragazzi
un questionario per rilevare la presenza di mal di schiena. I nuotatori, soprattutto femmine, presentavano delle asimmetrie del tronco più accentuate ed erano maggiormente ipercifotici, di conseguenza con una frequenza maggiore di dorsi curvi e mal di schiena.
“Dal punto di vista posturale il nuoto induce a un collasso della schiena -spiega il dott. Fabio Zaina, fisiatra di Isico - allena soprattutto la muscolatura degli arti, essendo praticato in scarico. Il dato, poi, sul mal di schiena conferma un fatto già noto: il nuoto, proprio per i carichi intensi in allenamento, se praticato a livello agonistico induce il mal di schiena. Per quello invece che riguarda la scoliosi, dai nostri dati possiamo senza dubbio escludere che il nuoto possa essere consigliato come terapia per la scoliosi e, se praticato in
eccesso, dal punto di vista posturale può rivelarsi negativo e provocare mal di schiena”. Ovviamente poi tutto dipende dalla tipologia del proprio fisico e dalla quantità di nuoto praticata: “Un conto è parlare di allenamenti di 4-5 volte la settimana, altro è invece dire di una pratica amatoriale. Altro ancora di pazienti con mal di schiena o addirittura una scoliosi ai quali per tanti anni è stato consigliato di “andare a nuotare per stare meglio”. Non è vero - commenta il dott. Zaina”. I miti da sfatare non finiscono però qui: un altro studio, sviluppato in concomitanza da Isico, ha messo a confronto tennisti agonistici e non, dimostrando che non è
assolutamente vero che uno sport asimmetrico come il tennis induca o peggiori la scoliosi. “C’è una correlazione fra sport e mal di schiena che interessa sia chi ne fa troppo sia chi ne pratica troppo poco - conclude il dott. Zaina - L’ideale è praticare sport, tenendo presente che sport molto mobilizzanti della colonna (ginnastica artistica e ritmica, ad esempio) ci mettono più a rischio, soprattutto in casi di predisposizione, mentre sport in carico contribuiscono a rinforzarla perché ci costringono a vincere la forza di gravità”.
Il gioco del tennis tavolo non offre solo momenti di divertimento: ha, infatti, insospettabili benefici sul piano fisico e mentale.
Parecchi vantaggi
Durante una partita anche a livello amatoriale i muscoli compiono un vero e proprio lavoro, con notevoli vantaggi per l’intero organismo. Il tennis tavolo inoltre aiuta a sviluppare concentrazione e rapidità di esecuzione ed è proprio alla portata di tutti, dai bambini di cinque anni fino alle persone avanti con l’età. La disciplina richiede uno sforzo muscolare di tipo aerobico, che viene cioè compiuto senza andare in debito di ossigeno: perciò apporta notevoli benefici innanzitutto a livello cardiovascolare. E va anche assolto dall’accusa di causare asimmetria, perché il non uso di un braccio è compensato dal movimento del resto del corpo. A livello amatoriale, dunque, non c’è rischio di uno sviluppo maggiore di una parte del corpo come accade invece nel tennis, sport asimmetrico per eccellenza. Una racchetta da tennis tavolo, del resto, ha un peso quasi irrilevante, meno di cento grammi, e la pallina non supera i due grammi.
Poche controindicazioni
Quanto ai muscoli interessati dallo sforzo, anche un dilettante può esercitare bene quelli del polso, del braccio e della spalla. E pure la schiena è chiamata in gioco, per i continui movimenti che si debbono fare per rispondere all’avversario. A livello agonistico, invece, il tennis tavolo consente di sollecitare maggiormente i muscoli che presidiano alla torsione del busto, oltre al quadricipite femorale della coscia e ai muscoli del polpaccio. Per giocare velocemente, infatti, è necessaria una grande mobilità delle gambe, che sono piegate per assicurare scatti e spostamenti rapidi. Ed è proprio agli arti inferiori che gli sportivi possono accusare problemi: microtraumi del ginocchio e tendinite, ad esempio, ma anche fastidi a schiena e braccia. Per i dilettanti, invece, non esiste una vera e propria patologia traumatica. Quanto alle controindicazioni il tennis tavolo è sconsigliato solo in caso di gravi problemi articolari, attenzione anche se si soffre di scoliosi o cifosi.
Contro lo stress
Il tennis tavolo è un ottimo rimedio contro lo stress. Giocare, infatti, aiuta a scaricare le tensioni e l’aggressività e fa bene soprattutto alle persone che fanno lavori ripetitivi o che richiedono particolare attenzione.
Aiuta la vista
Il tennis tavolo costituisce un buon esercizio per la vista perché costringe l’occhio ad esercitarsi nel seguire la pallina ma per trarne beneficio è necessario che la capacità visiva di un giocatore non sia troppo compromessa. Inoltre spinge l’occhio ad un continua adattamento “vicino - lontano” e tale stimolazione può rallentare il processo di senescenza del cristallino, tipico della presbiopia.
2 capitolo
La psicologia al servizio dello sport
Intervista alla dott.ssa Sofia Tavella, psicologa impegnata professionalmente nel mondo sportivo che ha aperto un discorso di collaborazione con la Fitet.
Dottoressa Tavella, si sente sempre più spesso parlare di psicologia applicata al mondo dello sport, ma che cos’è, che funzione ha e come usarla?
La psicologia è lo studio della mente e delle emozioni. E’ lo studio della personalità e delle interazioni con l’ambiente. E’ lo studio della scoperta e del. E’ lo studio dell’analisi, del controllo e dell’attivazione delle risorse dell’ambiente (per es. la squadra, la società di appartenenza dell’atleta o di chi si occupa di lui a vari livelli). Nell’ambito dello sport la psicologia può avere svariate funzioni, le più importanti delle quali sono la formazione dell’atleta così che sia messo nella condizione di far uso di tutte le proprie risorse psico-fisiche, dalla preparazione mentale (cioè dalla possibilità di scoprire, allenare e di preparare le abilità della mente che servono per l’attività agonistica) alle tecniche della performance. Per ottenere questo risultato il processo psico-educativo alla motricità comincia con il bambino. Dunque, gli istruttori dei giovani, che preferisco chiamare educatori, devono acquisire più preparazione psicologica degli altri. La psicologia dello sport si occupa poi del singolo atleta. Un intervento, tuttavia che non trasforma lo stesso in un paziente da curare ma che lo sostiene, qualora sia necessario, nel recupero della motivazione o dell’autostima. Ma la vera funzione della psicologia dello sport è infatti quella di aiutare l’atleta a scoprire le qualità psico-fisiche specifiche di cui è portatore e ogni sua riposta potenzialità per svilupparle poi e adattarle alla particolare pratica sportiva da lui stesso scelta. Tutto ciò è possibile nella misura in cui gli adulti di riferimento per l’atleta, seppure in ruoli diversi, si pongono con un atteggiamento di collaborazione e non di competizione o di conflittualità al fine di costruire un clima emotivo adeguato a motivare,sostenere e guidare il comportamento dell’atleta verso le mete prefissate.
Quale può essere lo specifico professionale di uno psicologo in una squadra di giovani atleti di tennis tavolo?
Se per psicologia dello sport intendiamo la scienza che si interessa di tutto ciò che l’atleta è e fa, e di ciò che esula dai suoi mezzi fisici e tecnici, non possiamo dire che ve ne sia una per l’individuo e una per il gruppo. Anche se è ovvio che certi interventi psicologici possono essere diversi e più mirati. Il tennis tavolo è un tipo di sport che potremo definire individuale. Ma che per tanti aspetti prevede anche il lavoro in gruppo. E’ uno sport che mette insieme esaltandole sia la potenza che la sensibilità fine, sia la forza esplosiva che la sua trasformazione in “leggerezza”, leggiadria, tocco “tenue”, sfumato, fino ad essere quasi impercettibile ma comunque efficace. In questo caso il lavoro dello psicologo sull’atleta ha per obiettivo quello di affinare la capacità dello stesso di passare, nel giro di pochi attimi, dall’uso della forza esplosiva all’uso della leggerezza, del tocco “silente”. Dunque un lavoro sulla concentrazione e sulla mobilità non solo psico-fisica, ma interiore, per arrivare a trovare quelle condizioni di massimo rendimento e correggere tutto ciò che lo impedisce. Se consideriamo invece, il tennis tavolo nel suo aspetto più collettivo tipico degli sport di squadra, l’intervento dovrà essere mirato a sviluppare abilità quali: non lasciar sviluppare conflitti o a risolverli, favorire modi comuni di pensare, di produrre idee e quindi una comunicazione più efficace; far convogliare gli sforzi dei singoli verso obiettivi comuni e favorire la cooperazione.
Che tipo di contributo ci si può aspettare pensando all’educazione attraverso lo sport in riferimento ai soggetti adulti (atleti, tecnici, dirigenti, genitori?)
Gli adulti, mediante l’educazione sportiva possono attivare interventi che portino l’atleta a esercitare in modo costruttivo e responsabile la creatività personale e l’iniziativa fisica e mentale. Forniranno pertanto: una visione realistica delle difficoltà e dei compiti; la capacità di individuare e raggiungere sempre nuovi traguardi; la ricerca e lo sviluppo in se stessi di tutto quanto è allo stato potenziale; una conoscenza sperimentata dei propri mezzi e la capacità di impiegarli al massimo livello di funzionalità ed efficacia; la responsabilità nei confronti del proprio rendimento e infine la disponibilità a modificarsi e ad evolvere. Anche l’adulto ovviamente va formato ed educato a questi compiti facili da enucleare e difficili da aplicare.
Quali sono le competenze dello psicologo in relazione agli atleti di alto livello?
Gli atleti di alto livello sono individui esperti sottoposti a situazioni che mettono continuamente alla prova la loro capacità di saper reagire positivamente alle condizioni di gara. Basti pensare a un pongista che per entrare in una gara di prestigio internazionale o in una finale olimpica può commettere solo pochissimi errori. Si tratta di situazioni correlate a stati di tensione psicologica ai limiti della sopportabilità; stati che un atleta deve imparare a gestire in modo efficace. Pertanto le tecniche di autoregolazione dello stress o di allenamento dell’attenzione possono fornire strumenti utili così che lo stress non ostacoli ma esalti la prestazione sportiva.
Guardando al futuro quali obiettivi?
Lavorare nel contesto giovanile implica oltre a una grande preparazione e professionalità anche una buona dose di sensibilità, intuizione empatica e capacità di ascolto. I ragazzi hanno bisogno di essere ascoltati e visti nei loro bisogni. Come atleti destinati forse a raggiungere mete sempre più elevate da un punto di vista del risultato sportivo e agonistico necessitano di quella particolare attenzione che non releghi sullo sfondo ciò che sono come persone. Al centro di ogni intervento c’è dunque la persona, il suo modo di essere, le sue idee, le sue ambizioni, il suo costante desiderio di migliorare e di vincere. L’educatore e lo psicologo, dovrà avere come obiettivo primario quello di curare la relazione con i giovani atleti e con l’intero staff di tecnici ed operatori che lavorano con l’atleta per rendere l’insuccesso o l’insuccesso un fattore di crescita della persona nella sua interezza.
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